mercoledì 26 ottobre 2011

CHI E’ STATO? LA LUCE DEL MONDO


Porto la vostra attenzione davanti il fraseggio del Cristo Gesù con i suoi discepoli sull’argomento della vita con i suoi ostacoli e le sue prove, presente nel capitolo 9 del vangelo di Giovanni. La parte divenuta famosa per il racconto del nato cieco.

Cominciamo con la prima parte del capitolo 9, con i versetti 1-7. 

1 Passando vide un uomo cieco dalla nascita

Il Cristo Gesù vive i suoi tre anni di vita pubblica con gli uomini e le donne del pianeta, lui “passa” e passando nel mondo narra del suo incontro con il cieco dalla nascita, un po’ come noi tutti esseri umani resi ciechi ai mondi spirituali al momento della nostra nascita ed incarnazione.

I discepoli interrogarono Gesù riguardo al cieco dalla nascita. Non gli chiesero se la divinità fosse stata giusta a volere che un essere umano fosse già dalla sua nascita venuto al mondo con una particolarità fisica, ma chiesero quale fosse stata la causa di ciò. Usando parole di quei tempi antichi diremmo di chi è la "colpa"; chi omise il bene (fece "peccato") per quella particolarità.

Gesù rispose che la cecità del cieco non era stata causata dal poverino stesso e neanche dai  suoi genitori. A domanda seria e circostanziata Gesù fece seguire una risposta altrettanto seria e precisa.

2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?»

Non siete anche voi meravigliati o sorpresi dalle implicazioni legate a questa semplice domanda? Non tanto dal “peccato” che potrebbe essere inteso come omissione ed anche ostacolo di aiuto all’evoluzione personale: è immaginabile una vita “comoda” e senza difficoltà o sacrifici? Non lo penso.

La maggiore sorpresa viene dal prevedere come causa della cecità una causa del cieco precedente alla sua nascita, ed eventualmente/oppure una causa risalente ai suoi genitori. La classica colpa dei “padri” che ricadrebbe sui “figli”.  

La domanda precisa dei discepoli si apre con un assunto dato per scontato: che il cieco nato cieco avesse un trascorso, che lo avesse potuto avere già prima della sua nascita fisica: Una preesistenza di qualche tipo. Altrimenti come giustificare la domanda sulla sua menomazione?

3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.

Ecco che il Cristo in Gesù non corregge l’impostazione della domanda dei suoi discepoli. Lui, il Cristo, l’Essere della Verità e della Via e della Vita non avrebbe potuto tacere su un errore così grossolano dei suoi. Avrebbe davvero dovuto riprenderli e affermare la verità di un vero inizio della vita fisica individuale con il concepimento e la procreazione fisica. Avrebbe dovuto negare la preesistenza. Questo non fece.

Chi è stato allora a rendere cieco il nato cieco? Nello studiare il testo in lingua greca si può arrivare a descrivere la risposta del Cristo “affinchè si rendano manifeste le opere dell’essere divino in lui”. Un passaggio importante sul quale riflettere è l’uso della preposizione articolata “del” invece della preposizione semplice “di”:

“affinchè si manifestassero le opere del Dio in lui” suona diversamente dal classico “affinchè si manifestassero le opere di Dio in lui”. Qui si parla, a mio parere, dell’essere divino che è in lui, nel nato cieco, non fuori di lui (nel Cristo). 


Seguendo questo filo ecco che il “miracolo” del dono della vista del nato cieco potrà avere luogo per la compartecipazione dell’essenza divina individualizzata, il Sé divino della singola persona. “Quel momento” era il momento giusto, il momento atteso sin dalla nascita dal cieco, il momento programmato per l’incontro con il Cristo Gesù.

Non sarebbe ragionevole e condivisibile la realtà della materia come effetto del pensiero creatore dello Spirito? Avete anche voi sperimentato la risposta della vita materiale ad un pensiero creativo condotto con convinzione, con forza e con passione? 

4 Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.

La preesistenza dello Spirito individuale chiama direttamente in causa la reincarnazione. Lo Spirito prima della reincarnazione prepara l’esistenza materiale successiva. Lo Spirito dopo la morte del corpo fisico redige un “bilancio” dell’esistenza fisica appena conclusa e comincia i preparativi ed i progetti per la vita sul piano fisico e materiale successiva.

Durante la coscienza “diurna”, la vita quotidiana sul piano fisico, sul pianeta Terra, è possibile operare, fare esperienze, partecipare direttamente e per libera volontà, con libero arbitrio, all’evoluzione di tutto il mondo, di tutte le cose.

Invece durante la “notte”, durante il riposo dopo l’azione, nella fase disincarnata nella dimensione spirituale, non sarà possibile compiere le azioni tipiche del mondo materiale, le azioni che portano evoluzione ed avanzamento nella conoscenza individuale.

Sono le opere del mondo fisico le opere dotate del marchio della “libertà umana”. Perché? Perché nessuno di noi ha il limite del “sapere le conseguenze delle proprie azioni”, nessuno di noi, nella normalità della condizione umana, ha la veggenza o precognizione del risultato delle nostre azioni.

Possiamo scegliere di andare a destra oppure a sinistra, di fare o di omettere, insomma abbiamo possibilità di decisione, senza sentire la limitazione del conoscere il risultato della nostra condotta in anticipo. Essere liberi significa poter agire arbitrariamente.

La libertà del continuo provare, questo è l’operare nella libertà umana.

5 Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo».

L’evoluzione umana si compie nel mondo, nel “cosmos” della versione originale in greco.
La Terra, la materia, non è da rifuggire, come fosse soltanto una valle di lacrime. Il pensiero buddista potrebbe fondare la sua ricerca del “nirvana”, dello stato di beatitudine, lontano dalla materia e dal continuo ritorno in incarnazione!

Lo Spirito, luce e calore, saggezza ed amore, vive nelle dimensioni dello Spirito ancora prima dell’incarnazione nella materia, nella carne. Non per gioco, non per svago lo Spirito individuale si immerge nel corpo fisico, si ritrae dalla luce per comprimersi nella materia. In questa trasposizione si viene a cancellare il ricordo di Sé, del proprio abitare le dimensioni immateriali. Al momento del rilascio della corporeità fisica tutta la luce e la conoscenza innate ritornano a splendere luminose nello Spirito riemerso nelle sue dimensioni.

Questo periodo di maggiore densità nella materia non è sofferto, ma amato. E’ ricercato, come indispensabile. Il corpo della Terra come fondamento per lo Spirito, per il suo procedere nella libertà creativa.

Un vero cristianesimo non disdegna la Terra.

“Quindi il Cristianesimo è tutto da conquistare, perché uno dei cardini del cristianesimo è che l’evoluzione morale, quindi reale dell’essere umano, è possibile soltanto sulla Terra. …Cominciamo appena appena a diventare cristiani perché l’essenza del cristianesimo è l’amore per la Terra, è l’incarnazione del Verbo, è il Verbo incarnato. Incarnato significa dentro la carne! Mica genericamente la materia, la carne!”  (Pietro Archiati)

6 Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco

Lo stesso rapporto che ogni essere umano ha con il proprio corpo, la propria corporeità che è un frammento della terra, nello stesso modo lo ha il Cristo con la Terra. Lo Spirito della Terra.

La saliva, così vicina alla parola, intrisa dei pensieri della parola, la saliva del Cristo Gesù è davvero talmente intrisa della spiritualità dei suoi pensieri e delle sue parole da risultare necessaria per il ritorno della vista del nato cieco. Il Cristo unisce questo elemento vitale del suo corpo intriso del suo amore con l’elemento morto della Terra, la sua polvere, il terriccio minuto. Insieme ne fece del fango che pose sugli occhi del cieco.

Ecco che le forze spirituali del Cristo Gesù si unirono alle forze fisiche della Terra (il suo corpo materiale) acquistando il potere risanante, il potere di restituire la vista al cieco nato.

7 e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Subito Il Cristo in Gesù disse al cieco ancora cieco di “andare” a lavarsi, di compiere ancora un tratto di strada verso la guarigione, verso lo sviluppo delle facoltà innate in ogni essere umano. Il cieco come tutta l’umanità nel suo insieme sono ancora in cammino, stiamo andando verso la piscina di Siloe, per riacquistare la pienezza del nostro essere umani in evoluzione.

Arriverà un punto di svolta dove noi tutti, uno per uno, al nostro giusto tempo individuale, riacquisteremo la nostra vista spirituale che attende di essere riscoperta.

Ogni singolo essere umano è in verità un “Inviato” del Grande Inviato, ognuno di noi è vivente e pensante con la responsabilità individuale donataci dal Figlio di Dio, la seconda persona della Trinità, che nasce e vive sul pianeta Terra e ci accompagna fino alla fine del Tempo.

Ad ogni singolo essere umano è donata la libertà di riacquistare la vista spirituale individuale oppure di rinviare nel futuro questo momento. La bellezza e la dignità dell’essere umano è di avere fatta salva dal Cristo la sua libertà ed il suo libero arbitrio individuale.

Un giorno futuro andremo, ci laveremo e ci vedremo nella completezza spirituale di tutte le cose viventi. Liberamente e per amore.



sabato 24 settembre 2011

IL MIO PROSSIMO

Nella parabola del "buon Samaritano" citata dall'evangelista Luca nel suo capitolo 10 dal versetto 29 si presenta alla nostra attenzione la figura del nostro "prossimo", figura di già presente nel grande comandamento conosciuto dai dottori della legge (gli avvocati di allora) nel tratto dove si richiamava l'insegnamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso". (stesso capitolo 10 di Luca, dal versetto 25)

Ebbene ora il dottore della legge pone la questione a Gesù: "E chi è il mio prossimo"?

Ed ecco che il Cristo in Gesù risponde proponendo la parabola del buon Samaritano.

"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico", dei briganti lo aggredirono, lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Un primo essere umano, un sacerdote, passò, lo vide, ma passò oltre. Un secondo essere umano, un levita, passò, lo vide, ma passò oltre.

Ecco allora giungere un Samaritano (uno straniero, un non ebreo, un non cittadino) addirittura a cavallo. Costui vide il poveretto a terra e ne ebbe compassione; curò e fasciò le ferite, se lo caricò sul cavallo, lo portò in una locanda. Si prese cura di lui.

All'albergatore anticipò due denari, promettendogli di rifondere ogni spesa ulteriore.

Chi dunque fu il prossimo dell'uomo? Colui che ne ebbe compassione, fu la pronta risposta del dottore della legge.



Quale allora l'insegnamento di questa storia? Come riconoscere il nostro prossimo che si potrà avvicinare a noi nella nostra vita quotidiana?

Nessun prossimo si riuscirà a trovare nella condotta del sacerdote e del levita della storia, nessuna persona in difficoltà ed in bisogno di aiuto riuscirà a richiamare la loro attenzione e la loro vicinanza: loro sono di già pronti a girare alla larga dal loro prossimo.

Il prossimo dunque sarà facilmente riconoscibile: sarà quella persona che ci chiederà aiuto e che noi faremo avvicinare. Il nostro prossimo sarà quella persona che noi faremo diventare tale, che noi non rifuggiremo.

Pensiamo di farcela a non fuggire? Pensiamo che sia un compito difficile, una prova faticosa? Ebbene, chi mai ci ha assicurato che le cose buone e vere e belle siano facili da raggiungere?

Nel pensiero illuminante del blog "Sempre un pò a disagio" l'amico professore ha limpidamente indicato che la bellezza richiede fatica. La fatica prima della bellezza. Sembra davvero una silenziosa legge umana universale.

Un approfondimento sul buon Samaritano ci viene offerto anche da Pietro Archiati in questa sua dissertazione.

mercoledì 7 settembre 2011

IL FIGLIO RITROVATO



Tutti voi conoscerete la parabola chiamata del figliol prodigo, il figlio spendaccione, il figlio di cui l’evangelista Luca racconta nel capitolo 15 a partire dal versetto 11.

Venne il tempo che il figlio minore volle dal padre la sua parte di patrimonio, partì presto per un paese lontano e spese tutti i beni avuti dal padre.

Soltanto dopo aver patito la carestia ed aver sopportato un lavoro umiliante a pascolare maiali il giovane tornò in sé stesso e decise di ritornare dal padre, pensando di offrirsi a lui come garzone e servo.  

La storia ci riserva una sorpresa: il padre invece di rimproverarlo lo accoglie abbracciandolo, preparando una grande festa ed un banchetto speciale.

Il fratello maggiore avrà da protestare davanti a tale trattamento, si sentirà poco considerato e rifiuterà il contatto con il fratello ritrovato.



Che cosa si nasconde dietro questa parabola che viene generalmente presentata come testimone della generosità di Dio Misericordioso?

Quello che voglio ora condividere con voi è l’aspetto dell’evoluzione umana che viene riassunta dalla figura del figlio minore. 

Evoluzione umana che si compone di due parti, di due momenti, uno precedente all’altro, come un viaggio di andata senza il quale il viaggio di ritorno non sarebbe possibile. 

La prima parte dell’evoluzione degli esseri umani è il momento quando il figlio minore decide di fare l’esperienza fuori dalla famiglia, fuori dal gruppo, una ricerca di autonomia e di individuazione personale, un confronto forte con il mondo esterno: dell’io contro tutti gli altri, dell’io prendo dagli altri per godermi io le cose, dell’io che è la cosa importante e che si deve affermare, dell’io ingordo ed egoista. 

Si, durante la prima parte dell’evoluzione il nostro IO vuole tutto, vuole il tesoro da spendere, vuole accentrare e vuole prendere. E’ il bambino che conosce il prendere; e l’evoluzione armoniosa delle cose questo vuole, tutti dobbiamo vivere questo momento di  egoismo, il momento che ci fa dire “tutti gli altri esseri per me”.

Ma questa prima parte deve vedere naturalmente una sua conclusione, perché anche la seconda parte attende di entrare nel gioco universale. La seconda parte giunge quando l’essere umano non è più lasciato solo nell’accumulo e nella dissipazione, dell’uno contro l’altro, del tutti contro tutti. Nella seconda parte si arriverà alla consapevolezza  che la condotta egoistica non è “conveniente”, non produce il risultato che ci si dovrebbe attendere. L’egoismo verrà gradualmente riconosciuto non “appagante”, non riuscirà a pagare il costo del suo esercizio. 

Il motivo principale che spingerà il figliol prodigo a ritornare dal padre è l’essersi accorto che situazione peggiore di quella come si era ridotto non era possibile, la molla che lo spingerà al ritorno è quella di un nuovo egoismo: se per trovare la pienezza del proprio essere doveva andare oltre il suo ingordo egoismo e recuperare la gratitudine per quanto ricevuto allora è giunta l’ora di saldare il debito nei confronti dell’evoluzione.

Qual’è il debito nei confronti dell’evoluzione? Il debito è il nostro egoismo, la prima metà dell’evoluzione a questo serviva, a diventare egoisti, a diventare esseri autonomi, come il figliol prodigo che si stacca dal padre.

Il pareggio dell’egoismo è l’amore, il volere rendere indietro e restituire tutte le forze che abbiamo succhiato dalle forze umane, facendole rifluire dentro l’umanità. Nessun senso di colpa, soltanto debiti da saldare indietro e gratitudine da riversare su tutti gli altri esseri umani.

Diventare egoisti non è una colpa, è soltanto un grande debito da restituire. Il pareggio dell’egoismo è l’amore.

Se proprio volessimo parlare di “colpa” essa comincerebbe ove si omettesse di ripagare con l’amore ciò che abbiamo ricevuto: potendo ripagare il debito si ometterebbe di ripagarlo. 

Questo poi sarebbe un debito che ognuno di noi avrebbe con sé stesso, perché omettendo il pagamento e la restituzione del “tolto” si impedirebbe a sé stessi di camminare, di procedere. Quindi, in ultima analisi, ogni essere umano avrebbe debiti soltanto nei propri confronti, ognuno di noi può essere artefice soltanto del proprio essere. La responsabilità è nei confronti del proprio essere. L’amore è necessario per la mia crescita, io sono responsabile per il divenire del mio essere. 

La prima parte dell’evoluzione fino all’evento del Cristo si è svolta in chiave “luciferica”, di affrancamento e di egoizzazione, staccandoci dagli altri, divenendo autonomi e distinti. La seconda fase dell’evoluzione è la fase dell’amore. All’amore di sé si aggiunge l’amore per il prossimo. 

Ama il prossimo tuo come te stesso, non si dice di amare il prossimo senza amarsi prima. Nella prima parte dell’evoluzione si è imparato ad amare sé stessi, ora si dice di amare anche gli altri oltre a sé aggiungendo la comunione.

Prima il Cristo ha lasciato spazio all’egoismo. Ma era una evoluzione parziale, solo la prima parte. Ora si aggiunge l’evoluzione dell’amore, l’evoluzione del tutto.

All’amore di sé si aggiunge l’amore  verso l’altro, in un giusto equilibrio tra l’amore di sé e l’amore dell’altro.

La frase “Ama il prossimo tuo come te stesso” potrà divenire, in futuro, quel “Ama il prossimo tuo in quanto tu”, frase rivelatrice del fatto che lui (l’altro) sei tu, siamo un essere solo. 

O ami entrambi o non ami nessuno dei due.

Marcolino

mercoledì 31 agosto 2011

L'ESSENZA DEL CRISTIANESIMO



Quale novità ha portato nella storia dell'umanità sul pianeta terra la vita ed il messaggio del Cristo?

Quale nuovo impulso all'evoluzione dell'essere umano, quale liberazione da antiche catene che limitavano il movimento del pensiero e dell'azione?

Quale scatto in avanti  ha permesso il sacrificio di un uomo solare, un essere umano riempito di divinità, divenuto essere divino amorevole?

Davanti queste domande in apparenza semplici e comprensibili si apre un universo in evoluzione, tentiamo un passo di comprensione razionale di misteri troppo a lungo tenuti chiusi entro libroni segregati?

Qual'è l'essenza del cristianesimo, dell'esempio portatoci dall'essere solare incarnato?

Quale il senso dell'uomo sulla terra?

Il senso potrebbe essere quello di superare tutti i determinismi di natura per aprirsi alla creazione libera, fatta di amore, pensiero, luce, calore.

Questo riporto e ricordo da un convegno al quale ho partecipato qualche tempo fa, a Roma, il relatore era Pietro Archiati.

Questo il video che affronta il tema dell'essenza del cristianesimo


"Qual'è il senso dell'uomo sulla terra? Creare luce, creare calore. Come fa il sole.

Tutti i determinismi di natura hanno senso che si fanno da base, da fondamento, per aprirsi a tutto ciò che è creazione libera, di luce, cammini di pensiero, di calore, cammini di amore, di  intuizione morale, di amore. L'essenza del cristianesimo". (Pietro Archiati)

martedì 30 agosto 2011

PANE E VINO

Marcellino pane e vino - colonna sonora

In origine era Marcellino, bellissimo film del 1955 diretto da Ladislao Vajda, una storia commovente dove il giovanissimo orfanello Marcellino era il neonato abbandonato, salvato e adottato da un monastero di fraticelli.


In breve tempo Marcellino cresce, viene seguito nella sua educazione religiosa, arriva al punto da colloquiare direttamente con un grande crocifisso in legno, la voce di Gesù lo asseconda e lo rasserena. Mentre Marcellino gli porta in dono il pane sottratto al suo desco quotidiano.

Molto bello il rapporto di Marcellino con Gesù, un rapporto di familiarità e di innocenza fanciullesca.




Come vive oggi la propria convinzione religiosa il popolo credente? Come viene vissuto il rapporto con il sacro e con lo spirituale qui nell'emisfero occidentale, la fede cristiana?

Siamo ancora bambini innocenti che tendono la manina ad una mamma premurosa oppure dopo duemila anni di storia possiamo cominciare a credere nelle nostre gambe, a camminare in piedi con il pensiero e senza bisogno di un bastone di accompagno?

Ognuno al suo tempo individuale, questo ci vuole portare come messaggio la parola greca "KAIROS", il tempo giusto diverso per ognuno, il momento personale di scoperta del nostro Spirito immortale.

Con la dignità di coloro che hanno voluto e cercato liberamente senza coercizioni il contatto con l'invisibile.

Con fiducia amorevole e pensiero luminoso.