sabato 24 settembre 2011

IL MIO PROSSIMO

Nella parabola del "buon Samaritano" citata dall'evangelista Luca nel suo capitolo 10 dal versetto 29 si presenta alla nostra attenzione la figura del nostro "prossimo", figura di già presente nel grande comandamento conosciuto dai dottori della legge (gli avvocati di allora) nel tratto dove si richiamava l'insegnamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso". (stesso capitolo 10 di Luca, dal versetto 25)

Ebbene ora il dottore della legge pone la questione a Gesù: "E chi è il mio prossimo"?

Ed ecco che il Cristo in Gesù risponde proponendo la parabola del buon Samaritano.

"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico", dei briganti lo aggredirono, lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Un primo essere umano, un sacerdote, passò, lo vide, ma passò oltre. Un secondo essere umano, un levita, passò, lo vide, ma passò oltre.

Ecco allora giungere un Samaritano (uno straniero, un non ebreo, un non cittadino) addirittura a cavallo. Costui vide il poveretto a terra e ne ebbe compassione; curò e fasciò le ferite, se lo caricò sul cavallo, lo portò in una locanda. Si prese cura di lui.

All'albergatore anticipò due denari, promettendogli di rifondere ogni spesa ulteriore.

Chi dunque fu il prossimo dell'uomo? Colui che ne ebbe compassione, fu la pronta risposta del dottore della legge.



Quale allora l'insegnamento di questa storia? Come riconoscere il nostro prossimo che si potrà avvicinare a noi nella nostra vita quotidiana?

Nessun prossimo si riuscirà a trovare nella condotta del sacerdote e del levita della storia, nessuna persona in difficoltà ed in bisogno di aiuto riuscirà a richiamare la loro attenzione e la loro vicinanza: loro sono di già pronti a girare alla larga dal loro prossimo.

Il prossimo dunque sarà facilmente riconoscibile: sarà quella persona che ci chiederà aiuto e che noi faremo avvicinare. Il nostro prossimo sarà quella persona che noi faremo diventare tale, che noi non rifuggiremo.

Pensiamo di farcela a non fuggire? Pensiamo che sia un compito difficile, una prova faticosa? Ebbene, chi mai ci ha assicurato che le cose buone e vere e belle siano facili da raggiungere?

Nel pensiero illuminante del blog "Sempre un pò a disagio" l'amico professore ha limpidamente indicato che la bellezza richiede fatica. La fatica prima della bellezza. Sembra davvero una silenziosa legge umana universale.

Un approfondimento sul buon Samaritano ci viene offerto anche da Pietro Archiati in questa sua dissertazione.

mercoledì 7 settembre 2011

IL FIGLIO RITROVATO



Tutti voi conoscerete la parabola chiamata del figliol prodigo, il figlio spendaccione, il figlio di cui l’evangelista Luca racconta nel capitolo 15 a partire dal versetto 11.

Venne il tempo che il figlio minore volle dal padre la sua parte di patrimonio, partì presto per un paese lontano e spese tutti i beni avuti dal padre.

Soltanto dopo aver patito la carestia ed aver sopportato un lavoro umiliante a pascolare maiali il giovane tornò in sé stesso e decise di ritornare dal padre, pensando di offrirsi a lui come garzone e servo.  

La storia ci riserva una sorpresa: il padre invece di rimproverarlo lo accoglie abbracciandolo, preparando una grande festa ed un banchetto speciale.

Il fratello maggiore avrà da protestare davanti a tale trattamento, si sentirà poco considerato e rifiuterà il contatto con il fratello ritrovato.



Che cosa si nasconde dietro questa parabola che viene generalmente presentata come testimone della generosità di Dio Misericordioso?

Quello che voglio ora condividere con voi è l’aspetto dell’evoluzione umana che viene riassunta dalla figura del figlio minore. 

Evoluzione umana che si compone di due parti, di due momenti, uno precedente all’altro, come un viaggio di andata senza il quale il viaggio di ritorno non sarebbe possibile. 

La prima parte dell’evoluzione degli esseri umani è il momento quando il figlio minore decide di fare l’esperienza fuori dalla famiglia, fuori dal gruppo, una ricerca di autonomia e di individuazione personale, un confronto forte con il mondo esterno: dell’io contro tutti gli altri, dell’io prendo dagli altri per godermi io le cose, dell’io che è la cosa importante e che si deve affermare, dell’io ingordo ed egoista. 

Si, durante la prima parte dell’evoluzione il nostro IO vuole tutto, vuole il tesoro da spendere, vuole accentrare e vuole prendere. E’ il bambino che conosce il prendere; e l’evoluzione armoniosa delle cose questo vuole, tutti dobbiamo vivere questo momento di  egoismo, il momento che ci fa dire “tutti gli altri esseri per me”.

Ma questa prima parte deve vedere naturalmente una sua conclusione, perché anche la seconda parte attende di entrare nel gioco universale. La seconda parte giunge quando l’essere umano non è più lasciato solo nell’accumulo e nella dissipazione, dell’uno contro l’altro, del tutti contro tutti. Nella seconda parte si arriverà alla consapevolezza  che la condotta egoistica non è “conveniente”, non produce il risultato che ci si dovrebbe attendere. L’egoismo verrà gradualmente riconosciuto non “appagante”, non riuscirà a pagare il costo del suo esercizio. 

Il motivo principale che spingerà il figliol prodigo a ritornare dal padre è l’essersi accorto che situazione peggiore di quella come si era ridotto non era possibile, la molla che lo spingerà al ritorno è quella di un nuovo egoismo: se per trovare la pienezza del proprio essere doveva andare oltre il suo ingordo egoismo e recuperare la gratitudine per quanto ricevuto allora è giunta l’ora di saldare il debito nei confronti dell’evoluzione.

Qual’è il debito nei confronti dell’evoluzione? Il debito è il nostro egoismo, la prima metà dell’evoluzione a questo serviva, a diventare egoisti, a diventare esseri autonomi, come il figliol prodigo che si stacca dal padre.

Il pareggio dell’egoismo è l’amore, il volere rendere indietro e restituire tutte le forze che abbiamo succhiato dalle forze umane, facendole rifluire dentro l’umanità. Nessun senso di colpa, soltanto debiti da saldare indietro e gratitudine da riversare su tutti gli altri esseri umani.

Diventare egoisti non è una colpa, è soltanto un grande debito da restituire. Il pareggio dell’egoismo è l’amore.

Se proprio volessimo parlare di “colpa” essa comincerebbe ove si omettesse di ripagare con l’amore ciò che abbiamo ricevuto: potendo ripagare il debito si ometterebbe di ripagarlo. 

Questo poi sarebbe un debito che ognuno di noi avrebbe con sé stesso, perché omettendo il pagamento e la restituzione del “tolto” si impedirebbe a sé stessi di camminare, di procedere. Quindi, in ultima analisi, ogni essere umano avrebbe debiti soltanto nei propri confronti, ognuno di noi può essere artefice soltanto del proprio essere. La responsabilità è nei confronti del proprio essere. L’amore è necessario per la mia crescita, io sono responsabile per il divenire del mio essere. 

La prima parte dell’evoluzione fino all’evento del Cristo si è svolta in chiave “luciferica”, di affrancamento e di egoizzazione, staccandoci dagli altri, divenendo autonomi e distinti. La seconda fase dell’evoluzione è la fase dell’amore. All’amore di sé si aggiunge l’amore per il prossimo. 

Ama il prossimo tuo come te stesso, non si dice di amare il prossimo senza amarsi prima. Nella prima parte dell’evoluzione si è imparato ad amare sé stessi, ora si dice di amare anche gli altri oltre a sé aggiungendo la comunione.

Prima il Cristo ha lasciato spazio all’egoismo. Ma era una evoluzione parziale, solo la prima parte. Ora si aggiunge l’evoluzione dell’amore, l’evoluzione del tutto.

All’amore di sé si aggiunge l’amore  verso l’altro, in un giusto equilibrio tra l’amore di sé e l’amore dell’altro.

La frase “Ama il prossimo tuo come te stesso” potrà divenire, in futuro, quel “Ama il prossimo tuo in quanto tu”, frase rivelatrice del fatto che lui (l’altro) sei tu, siamo un essere solo. 

O ami entrambi o non ami nessuno dei due.

Marcolino